LA TUTELA DEL CULTURAL HERITAGE

Con l’approvazione della legge n.124 del 04/08/2017 “sul mercato e sulla concorrenza”, sono state  introdotte due importanti modifiche al Codice dei Beni Culturali del 2004. La prima ha la funzione di portare da 50 a 70 anni il limite alla libera esportazione e vendita di opere di autore non più vivente. La seconda di consentire, con la presentazione alla Soprintendenza competente di un’autocertificazione, la libera circolazione delle opere e degli oggetti d’arte il cui valore non superi i 13500 euro. Il testo di tali modifiche è il risultato di un lungo confronto tra i promotori del progetto Apollo, ossia gli operatori commerciali del mondo dell’arte che chiedevano la liberalizzazione del mercato,  e numerosi esponenti delle principali forze politiche, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (MiBACT). Non essendo stati varati i decreti attuativi, di fatto il Codice dei Beni Culturali è in parte non operativo e pertanto le Soprintendenze sono costrette ad applicare la vecchia norma mentre il mercato continua a fare i propri affari in un clima di incertezza che concede ampi spazi alle attività non lecite, tanto della criminalità comune quanto di quella organizzata.

L’avvento del mondo globale e digitalizzato fornisce opportunità nuove in fase di cooperazione tra le nazioni nell’ottica di applicare la “Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità organizzata”. Questa carta, fondamentale nel contrasto alle attività criminose, sarebbe fortemente supportata dalla già prevista creazione dei registri on line delle gallerie d’arte e degli antiquari, soprattutto se consultabile anche dalle autorità straniere. Questi registri da un lato rischierebbero di deprimere il mercato ma dall’altro consentirebbero una catalogazione degli oggetti e la verifica delle fluttuazioni dei valori che spesso hanno celato speculazioni o strumenti di pagamento per   contropartite illecite. Si tratta di manipolazioni facilmente realizzabili, soprattutto nel caso dell’arte contemporanea, che spesso è risultato essere utilizzata come forma di pagamento in traffici di droga, episodi di corruzione o di estorsione.

In una realtà densa di arte e cultura come quella italiana in cui è impossibile, e spesso insensato, pensare di controllare minuziosamente i movimenti del mercato dell’arte, ad un eccellente testo normativo segue un’oggettiva difficoltà di applicazione acuita da una regolamentazione delle attività di fatto inesistente: chiunque può essere rigattiere, antiquario o gallerista indipendentemente dalle proprie capacità, dalle proprie competenze e dalla propria fedina penale. Ne conseguono paradossi come rigattieri che maneggiano opere di alto antiquariato, antiquari che partecipano ai mercatini delle pulci e soggetti condannati per ricettazione o falsificazione di opere d’arte che gestiscono fiorenti attività.

La promulgazione del nuovo Titolo VIII-bis del Codice Penale  “dei delitti contro il patrimonio culturale” introduce delle aggravanti nel caso in cui il reato di uscita o esportazione illecita di bene culturale sia commesso da “ chi esercita attività di vendita al pubblico o di esposizione a fine di commercio di oggetti culturali” interdicendolo dalla professione o dall’arte che esercita. Insieme alla confisca del bene e del patrimonio è questo lo strumento più concreto di contrasto.

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